Il blog www.mutuaoggi.it ha intervistato la dr.ssa Valentina Guastalla su quali sono i principali vissuti psicologici e problematiche emotive originate dall’emergenza sanitaria attuale. Nell’articolo sono presenti anche utili consigli rispetto alle risorse da mettere in campo per fronteggiare al meglio le difficoltà di questo periodo.
Riportiamo interamente il testo dell’articolo, ringraziando Mutuaoggi per la concessione
Manuale di sopravvivenza domestica ai tempi del coronavirus
Vite sconvolte. Certezze, ritmi, abitudini, tutto travolto da un virus subdolo, atteso ma non troppo, che ci ha colto (colpevolmente?) del tutto impreparati per la forza del suo impatto e della sua portata globale. A fine marzo 2020 tre miliardi di persone sono sottoposte a misure restrittive per il contenimento del Covid-19, di queste ben un miliardo sono costrette a casa (fonte AFP).
Ci troviamo a vivere un’esistenza sospesa e incerta, un limbo nel quale ognuno si chiede quando potrà nuovamente uscire, per dirla con il Poeta, a “riveder le stelle”.
“Una realtà completamente nuova a cui dobbiamo abituarci”, sostiene la dottoressa Valentina Guastalla, psicologa psicoterapeuta del Centro Naven di Milano, “non ci sono esempi di altre esperienze a cui equipararla”.
Una situazione in cui, dice la dottoressa Guastalla, “emergono paure, ansie, angosce profonde e stati di allarme costante rispetto al mondo esterno o alla protezione della propria famiglia”. I rischi per la nostra integrità mentale e fisica sono molto concreti, stati depressivi che la psicologa paragona al disturbo post-traumatico da stress provocato da terremoti, guerre, torture, abusi.
“Ovviamente non siamo a questi livelli – avverte – però la direzione è quella. Alla base dei malesseri c’è la minaccia di virus strisciante da cui occorre proteggersi e tutelarsi”. Una minaccia che nell’individuo scatena risposte da disturbo post-traumatico: fatica a concentrarsi e a dormire, irritabilità, stato di costante allerta.
Uno stato di stress aggravato anche dalla sovraesposizione alle informazioni che cerchiamo: è quindi importante informarsi da fonti attendibili, ma senza sovraccaricarsi per “preservare la nostra mente, consentendole spazi che ruotano anche attorno ad altri temi”.
Fra le quattro mura domestiche della quarantena viviamo una prospettiva spaziale e temporale nuova. “La casa – spiega Guastalla – diventa un mondo da abitare nuovamente e da scoprire nelle sue nuove funzioni, da riprogettare soli o insieme”.
“Prima – prosegue la psicologa – eravamo scissi su binari paralleli lavoro-famiglia e la casa era solo attraversata”. Anche la realtà famigliare era organizzata molto all’esterno. Al tempo del coronavirus, lavoro e famiglia confluiscono nella casa. “Cambia anche la dimensione del tempo, perché la giornata non è più scandita dalle uscite”.
E allora come reagire per non farsi travolgere? In primo luogo, mantenendo una routine regolare e progettando la quotidianità, dandosi regole per tempi e spazi, con momenti dedicati all’alimentazione o all’attività fisica, contatti con gli altri anche nella distanza, sonno adeguato alla stanchezza emotiva. La barra è sempre quella di “prendersi cura di sé e delle persone vicine”.
La casa deve rimanere viva e la nuova routine non discostarsi troppo dalla vecchia: non deve “stravolgere la nostra vita” ma adeguarsi ai nuovi spazi interiori.
La dottoressa Guastalla sottolinea anche la “necessità di tenere viva la progettualità, raccogliendo le proposte e i desideri di tutti, mantenendo le attività del quotidiano (lavoro, studio)”. Bisogna raccogliere gli stimoli di tutti per pensare e provare, “facciamo insieme esperimenti, organizziamo momenti creativi che possano dare senso ed emozionarci (entusiasmo, calore, umorismo) per controbilanciare le emozioni negative con quelle positive”. Introduciamo nelle attività quotidiane “diversivi o nuove letture di senso con nuovi significati”. I legami famigliari condizionano le abitudini e serve tenere conto delle esigenze di ognuno, soprattutto in presenza di bambini, ai quali attività abitudinarie danno sicurezza e certezze.
È anche importante “mantenere spazi personali e la possibilità di isolarsi con attività per se stessi (riflessione, lettura, musica, parlare con amici o un lungo bagno rilassante). Significa – prosegue Guastalla – preservare un contatto con noi stessi positivo e di stimolo per generare emozioni di benessere di cui abbiamo gran bisogno per fronteggiare emozioni di paura e preoccupazione. Spazi di linfa vitale per controbilanciare stimoli mortiferi e senso di precarietà”.
Infine, se siamo costretti a lavorare a casa, è fondamentale tutelare gli spazi lavorativi, cercando di bilanciare i carichi rispetto alle altre esigenze familiari
L’approccio mentale suggerito dalla psicologa è quello di “tenere come prospettiva l’idea che restare a casa significa tutelare sé e gli altri. Lo sentiamo ovunque, è quasi banale, ma è importante ripeterselo per tranquillizzare se stessi e nostri vicini, i figli, gli anziani”.
Lo stare insieme va pensato in un’ottica di mutuo aiuto anche se possono esserci sono momenti vuoti o di noia, comunque molto utili: “rimanere con noi stessi anche nella riflessione, serve a rielaborare lo stato ansioso, per poi condividerlo con gli altri”. Il confronto di gruppo stempera fatiche e tensioni e costruisce nuove letture.
L’invito è quello di prendersi cura di noi, preservando il nostro benessere, e di non abbracciare il pensiero negativo, accettando la perdita. “Siamo vicini al concetto di lutto, il lutto della vita precedente”. Dobbiamo però pensare che “l’isolamento è una protezione momentanea, non è senza ritorno”.
“Non rimaniamo ingabbiati rispetto alla perdita del passato – spiega la dottoressa – né rispetto alle prospettive negative dell’epidemia. Al contrario teniamo una prospettiva costruttiva e progettuale. Diamo spazio alla parte di noi stessi in grado di proporsi e stupirsi, ricordando anche le esperienze positive di generazioni precedenti capaci di reagire anche durante la guerra”. Dalle macerie si rinascerà, il confronto con la seconda guerra mondiale, secondo Guastalla, “è inevitabile”.
La generazione adulta di oggi è abituata “al tutto facile, pronto, efficiente, veloce. Tutti i bisogni soddisfatti subito”. Improvvisamente non tutto è accessibile e bisogna aspettare. Una situazione che le generazioni precedenti hanno già vissuto. E allora è possibile leggere in positivo questo dramma collettivo, dare valore a questa esperienza, farne un volano per “riappropriarsi di una dimensione costruttiva: ricostruire, reinventare, riciclare”.
Questa quarantena ci consente di “riscoprire dialogo e collaborazione, non più mondi individuali che coesistono, ma voglia di stare insieme nel piccolo gruppo di casa”. Se prima le nostre vite erano scandite da abitudini serrate e mondi separati (lavoro, figli), ora si ripresenta un’unità che in molte realtà del nostro Paese si era persa. Il paradosso è che l’isolamento riporta alla ribalta la dimensione dello stare insieme.
Il timore della cronicità e della situazione senza fine crea inquietudini e ansia, ma è possibile “unirci per non rimanere ingabbiati nell’attesa, recuperando l’entusiasmo di fare qualcosa insieme”.
Una conclusione utile per quando tornaremo a uscire, forse migliori, a riveder le stelle.